Se mi venisse posta la domanda … “Cosa sta accadendo nelle cucine delle Osterie del Gran Fritto e nel Ristorante La Buca”, risponderei che … si sta “lavorando al Natale”: Andrea e Stefano stanno cogliendo i frutti del mare in inverno, li stanno trasformando in piatti che siano simboli, profumi, odori e calore, preparazioni che accompagnino gli ospiti al pensiero di un camino acceso e che coltivino l’arte della memoria.
A Natale si vuole il valore dei momenti trascorsi in famiglia che fanno brillare gli occhi e nascere il sorriso, il calore, il piacere, il buono, il talento del conversare amabilmente che avvicina gli animi e stimola la curiosità, il “gusto” di mangiare insieme.
Con una scodella di zuppa (ma anche con una piatto di minestra, con una fondina di crema o con una ciotola di vellutata), non solo si porta in tavola una pietanza di un menù, si evoca un gesto, si crea un momento nel quale il cibo viene servito ai commensali dalla stessa zuppiera, dallo stesso recipiente.
La Polenta al Cucchiaio con i Calamaretti Borsotti, dolcissimi e tenerissimi, il Brodetto, la Zuppa di Cardi con l’Aringa, … sono cibi che non si possono dividere ma solo condividere, sono piatti per cui è impossibile fare delle gerarchie sociali con il privilegio della parte migliore, non c’è … una parte migliore, sono piatti che … concretizzano un’idea, celebrano il Natale.
Stefano mi racconta che in passato, in inverno, l’aringa (o saràega, saracca) si comperava sfusa nella bottega; a casa si poteva ravvivare sulla graticola, sopra alla brace e si condiva, salata com’era, solo con un filo d’olio.
Era il vero companatico della povera gente, l’emblema della stagione fredda: secca e “arida”, ma forte di odore e di sapore, spesso si teneva appesa ai legni del soffitto o al lume sopra il centro della tavola, ad altezza d’uomo e si strofinava con fette di pane o polenta per far prendere loro un po’ di sapore. Ma attenzione … una fetta una passata: se qualche commensale strisciava due volte sull’aringa veniva chiamato sgulmanè (ingordo) o strusciòn (sciupone).
E che dire del Brodetto? Il “monumento” della gastronomia di mare, un patrimonio culinario e culturale della storia marinara.
Nato in passato sulle barche dei pescatori e preparato con i tagli poveri del pescato del giorno, oggi sulle tavole delle Osterie, complesso di profumi e ricchissimo di sapori, viene servito bollente, nella terracotta accompagnato da pane abbrustolito.
Ancora, nella cena di San Silvestro, per il Ristorante, il fritto avrà una veste antica, popolare: un “cartoccio” di carta gialla che conterrà paffuti Calamaretti, piccoli e dolci Gamberetti e Uova di Moletto.
E ci verrà consigliato di mangiare il prezioso contenuto di questo povero “involucro” rigorosamente in punta di dita: questo è un cibo che ha bisogno delle mani, che va toccato, ne va tastata la croccantezza, testato il calore, che va annusato, va sentito fisicamente sulla nostra pelle.
Ne conserveremo intatto il profumo sui polpastrelli.
Da piccoli ci insegnavano che non è educato mangiare con le mani, ma … recuperare il rapporto tattile col cibo ha un aspetto giocoso e divertente e ancora … infrangere le regole delle “buone maniere” in un luogo di estrema raffinatezza come la Buca, ci renderà complici, ci farà sentire … a casa, davanti al camino!
E dentro al cartoccio?
Con Schille e Calamaretti, troveremo le Uova di Moletto, quelle che erano affettuosamente chiamate il “caviale dei poveri”: non sono altro che le gonadi (sacche contenenti le uova) di questi pesci, delicate e dal sapore elegante che, fritte, acquisiscono quella croccantezza esterna che nasconde una grande delicatezza e cremosità nel cuore.
Arriveranno nelle cucine del ristorante direttamente dalle mani di Andrea Tosi: figlio del compagno di barca del babbo Marcello, per Stefano è prima di tutto un amico poi … è il Marinaio, quello con la M maiuscola, il custode della cultura di mare e il punto di riferimento per prodotti particolari e di difficile reperimento come le nostre uova di moletto.
Quindi … profonde radici nelle materie prime del mare e della terra, legami solidi con le tradizioni, sguardi limpidi nei confronti della tecnica e dell’innovazione e ferma convinzione nel ruolo sociale del cibo sono le costanti da cui Stefano e Andrea si muovono per la creazione di ogni piatto e di ogni menù.
Sulle tavole dell’Osteria e del Ristorante elaborare e gustare un cibo, non mangiare e far mangiare, saranno il nesso fra istinto e conoscenza, fra impulso e intelligenza, saranno messaggi, comunicazione ed … emozioni.
Giorgia Lagosti