Fino al 1965, la “Bella Vita” di Cesenatico aveva visto una fervida e rigogliosa ricostruzione tutta incentrata sulla vita balneare, spensierata e gaudente, sui personaggi di spicco del mondo dello spettacolo, della televisione, della moda e della cultura.
Facevano notizia gli sportivi, i grandi calciatori.
La cronaca riportava continuamente delle vacanze di ospiti famosi che ad ogni estate “illuminavano” della loro presenza le spiagge e le strade della cittadina: Gino Bramieri, Lina Volonghi, Giorgio Ghezzi, Dario Fo, Franca Rame, Valter Chiari, Sandra Milo, Virna Lisi, Gastone Moschin, Alberto Vianello, Mina, Mia Martini, Patty Pravo …
Poi i delfini, il grattacielo.
Ma anche il “Processo al Calcio”, il premio “Agrodolce”, la grande arte del “Bragozzo”.
Poi, proprio nel 1965, in occasione dell’ottantesimo compleanno di Marino Moretti, il vecchio borgo marinaro salì agli onori della cronaca mostrandosi con un altro volto, vestendo un altro abito: era una Cesenatico antica, era quella dei pescatori e delle barche, quella del canale coperto di vele, quella “aggruppata” lungo le vie del porto leonardesco dal quale risalivano a sera i bragozzi di ritorno dalla pesca.
Era la Cesenatico abitata dal narratore e poeta Marino Moretti.
Gli ottanta anni dello scrittore furono la festa della cultura italiana, del filone più alto e più limpido della letteratura contemporanea.
Molti giornali scrissero allora di una cittadina che, appena l’estate cominciava a sfumare e diventavano evidenti le tinte dell’autunno, si mostrava diversa, autentica e vera, proprio come quella che emerge dalle pagine di Moretti: “un canale che divide sinuoso le case in due strisce quasi uguali, fino al verde nuovo e alle case nuove che sono i villini dell’estate annunzianti oggi gli svaghi dell’estate, il dolce arenile, la flora spinosa, le stelle marine, gli scherzi e i ricami dell’onda.
Due rive, due “fondamenta” quasi veneziane, in cui si riassume il villaggio di pescatori, divenuto ormai cittadina: il ponte dai balaustrini lindi che allaccia le rive sostituisce alla meglio il vecchio ponte a schiena d’asino ch’io vedo con gli occhi della fanciullezza e che mi pare ancora gigante …”
Scrittore quasi tutto dedicato alla sua Romagna, Moretti vedeva la sua terra come lo specchio in cui si rifletteva una realtà complessa, polivalente, profonda.
Moretti non si “identificava” con i suoi luoghi, non ne dava una versione naturalistica come invece era accaduto per la Sardegna della Deledda o la Sicilia del Verga.
Moretti amava la sua Romagna con dedizione e pazienza, in lei vedeva gli affetti, ricercava le certezze morali, percepiva la sofferenza umana.
Fra le sue righe, chiaro e “senza veli”, si sente il rimpianto per il cemento e per il nuovo, per i colori.
Moretti amava il bianco, il grigio e il giallo sbiadito dei vecchi intonaci. Lui guardava il suo paese con gli occhi e la nostalgia del tempo passato.
Oggi l’antico borgo è salvo nella sua architettura, nel suo alone poetico, nelle impressioni suggerite dalle pagine dei suoi scrittori.
E lo è soprattutto in questi primi giorni d’autunno quando, percorrendo le rive del Porto Canale, la cauta malinconia delle pagine di Moretti, quell’aria di antico abbandono, specie di sera, quando i bragozzi sono ormeggiati a riva, quando l’acqua del canale si fa cupa di verde, riemerge tutta, si mostra intrisa di quella particolare suggestione che sempre esercitano i luoghi sui quali è passata, a sfumarne i contorni, la luce indefinibile della poesia e … diventa chiarissimo il “sapore” dolce e suggestivo che tanto ha ispirato le migliori pagine del maestro.
Giorgia Lagosti