Frutto di un forte interesse nei confronti dell’etnologia marinara e della storia di Cesenatico, il Museo Galleggiante della Marineria, fin dalla sua nascita una trentina di anni fa, accoglie barche salvate dalla demolizione e sapientemente restaurare. Sono quelle che hanno visto gli anni in cui Cesenatico era uno dei maggiori centri marinari dell’Adriatico e che venivano maggiormente utilizzate fra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento.
Sono le sette barche che ogni giorno, dalla banchina su cui si affacciano il ristorante La Buca e l’Osteria del Gran Fritto, si lasciano ammirare con le loro vele spiegate, coloratissime e ornate con simboli che segnalavano l’appartenenza alle diverse famiglie di pescatori. Nel tempo, questa usanza, si trasformò in una vera e propria “araldica marinara” e qui a Cesenatico ne troviamo una dei più complete e significative testimonianze.
Sono le sette barche che ci sono sotto agli occhi tutti i giorni, che ci accompagnano, silenti, nel nostro lavoro, quasi a vegliare sul Porto Canale Leonardesco. Crediamo meritino di essere conosciute un po’ di più … una per una.
Oggi quindi iniziamo a raccontarvi qualcosa della più grande … di quella che sembra quasi voler signoreggiare con le sue alte vele e con il grande polaccone (la vela triangolare) la schiera delle altre. Oggi vi raccontiamo del Trabaccolo, quello da trasporto, il “Giovanni Pascoli”.
L’ammiraglia, ultima arrivata al Museo della Marineria, varata nel ’36, fu impegnata nei traffici marittimi con la costa jugoslava. Nel ’53 poi fu condotta a Vieste e nel ’60 tornò al nord, a Trieste dove rimase a lungo inattiva se non per il trasporto di sabbia.
Nel 1980 il suo scafo, truccato da nave veneta del Settecento, fu utilizzato per le riprese dello sceneggiato televisivo Marco Polo.
Sembrò allora che i suoi momenti di gloria fossero davvero finiti quando, nell’83, l’Azienda di Soggiorno di Cesenatico l’acquistò per completare la sezione galleggiante.
Imbarcazioni quanto mai robuste con carene arrotondate, i trabaccoli trasportavano di tutto: carbone, legna, pietre, ghiaia, sabbia, alimenti, farina e, in ultimo, anche cemento. Spesso anche botti di vino, e la Finanza ci metteva su tutti i suoi sigilli, ma nessuno riusciva a trattenere i marinai dall’inventare i sistemi più complicati per fare una allegra bevuta di frodo. Così molte botti giungevano a destinazione coi sigilli intatti, ma inspiegabilmente alleggerite.
Poi … c’erano gli uomini che lavoravano sui trabaccoli. Questi erano spesso anche pescatori o comunque provenivano dalle loro fila. Alcuni di loro sono ancora vivi e i loro ricordi sono pieni di ammirazione per queste piccole navi, che evidentemente erano qualcosa di più che un mero mezzo di lavoro e riuscivano a lasciare nel cuore di chi ad esse si erano affidati, il ricordo sereno di chi non tradisce.