Fino a qualche decennio fa, in tutte le famiglie romagnole, nella credenza, c’era il ferro dei passatelli (e fèr d’i pasadè). Oggi purtroppo è stato soppiantato dallo schiacciapatate a fori larghi ma, chi ancora ce l’ha, credetemi, ne è gelosissimo! Lo si sfoderava soprattutto nelle grandi occasioni come la Pasqua, l’Ascensione, i battesimi, le cresime ed i matrimoni (non il Natale, per quel giorno c’erano i cappelletti).
Serve molta pazienza e robustezza di polso ma il ferro permette di “tirar fuori” da un ammasso informe tanti bigoli rugosi e profumati che solo una mano esperta sa fare di lunghezza discreta! Forse pochi lo sanno ma questo strumento è stato concepito in modo che, essendo a forma di calotta, l’incavo contenga una porzione per ogni commensale e non è un caso che i modelli antichi siano leggermente più grandi di quelli che oggi ancora si possono acquistare in pochissime ferramente della zona: in passato il bisogno alimentare era leggermente maggiore di quello odierno.
Parlando ora della loro origine, ce la si contende (anche molto ferocemente) con le terre marchigiane ma …. i passatelli sono proprio romagnoli e nascono negli antichi casolari di campagna quando purtroppo c’era ben poco da mangiare e l’unica cosa da fare era quella di riutilizzare gli avanzi: pane raffermo, formaggio indurito (quasi immangiabile tal quale), uova, un poco di noce moscata …ed ecco la ricetta di questo capolavoro culinario. Semplice negli ingredienti, i passatelli richiedono però una grande abilità dell’ arzdora affinché l’impasto sia della giusta consistenza: se troppo resistente si otterranno briciole incapaci di compattarsi fra loro, se invece troppo molle ci si troverà una pappa collosa appiccicata al tagliere che cadendo nel brodo si scioglierà a mò di stracciatella!
Generalmente si agisce secondo il concetto di un uovo per razione e per ogni uovo occorrono circa 60 grammi di Parmigiano grattugiato, 40 grammi di pangrattato, rigorosamente bianco, ben secco, comune e scondito (va detto che una volta nelle case dei ricchi prevaleva il parmigiano mentre nelle case dei poveri si abbondava col pane) e una bella spolverata di noce moscata grattugiata al momento. Alcuni hanno la mania del limone, arrivando a metterlo persino nel brodo, ma secondo me il sapore agrumato rovina tutto!
Ancora, seguendo la regola dell’Artusi, si può utilizzare anche il midollo bovino di recente macellazione per ottenere un impasto morbido: di difficile reperimento, oggi c’è chi ripiega sul burro ma non è la stessa cosa!
Miscelati gli ingredienti insieme si lavora la massa fino ad ottenere un panetto consistente e coeso. Ora va fatto riposare per almeno un paio di ore (io lo lascio fermo anche tutta la notte, ben avvolto in un sacchetto o nella pellicola).
Il giorno dopo procedo con il ferro sul legno del tagliere, trafilando la pasta con un movimento lento ma deciso: una volta che il ferro ha raccolto la giusta porzione, la si dispone, rovesciando l’attrezzo, su un angolo del tagliere stesso per ricominciare l’operazione fino a che non è finito l’impasto e vi assicuro che di scarto non ne rimane se non una cucchiaiata (perchè proprio la si vuole!!): questa può essere lavorata con le mani per forgiare quello che spesso viene ancora definito “il passatellone” … porzione da sempre ambitissima dai bambini.
E’ arrivato infine il momento del brodo: deve bollire bene quando si versano i passatelli! Questo in un primissimo momento affonderanno fra le rose dorate del poco grasso che l’azdora ha lasciato poi torneranno veloci a galla.
Sono cotti. Si impiatta. Si attende qualche minuto perché la temperatura diventi umana e si serve.
Solo una ultima cosa: non occorre formaggio grattugiato, ce ne è già a sufficienza nell’impasto e aggiungendolo si rischierebbe solo di sporcare il brodo!
(le foto sono state scattate da Elena Braghieri)