Campana nasce il 23 agosto del 1885 a Marradi (Firenze), geograficamente Toscana ma Romagna a tutti gli effetti. Il difficile autoritarismo del padre e la gelosia per la madre che preferiva apertamente il fratello minore, furono le prime scintille ad accendere l’inquietudine del giovane Dino. E ci furono comportamenti che mal si accordavano con i canoni della vita di un tranquillo paese d’Appennino.
Cominciarono presto le fughe, prima per i boschi delle sue montagne, poi a Parigi, poi ancora verso l’Argentina quando Campana s’imbarcò su un bastimento con la mansione di fuochista.Da qui si “perse” facendo ogni mestiere: gaucho, carbonaio, saltimbanco, pompiere, persino suonatore di triangolo nella banda della Marina argentina. Vide Odessa, fu garzone di un centro di tiro al bersaglio in Svizzera.
L’unico posto però in cui forse Campana riuscì a sentirsi a casa fu nella Bologna goliardica del pre-guerra. Furono questi gli anni più importanti anche dal punto di vista della produzione artistica: sotto i lunghi, sterminati portici della città universitaria Dino e i suoi più stretti amici, quasi tutti romagnoli come lui, passavano le loro “alcoliche” notti a scherzare, cantare e a discutere … anche con le forze dell’ordine.
Fu qui che prese la forma definitiva l’unica opera organica di Dino Campana: i Canti Orfici. Il poeta la fece stampare a sue spese ed egli stesso, escluso e malvisto dalla comunità intellettuale dell’epoca, cercò di venderne qualche copia nei caffè di Firenze. E … a questo proposito, ci furono voci che sostenevano che fosse solito strappare prima le pagine che riteneva non potessero essere capite dall’acquirente (si dice che a Marinetti consegnò la sola copertina!).
Poi … l’incontro con Rina Faccio, poetessa e scrittrice sotto lo pseudonimo di Sibilla Aleramo. Ebbero una relazione intensissima e violenta, come testimoniano i loro scambi epistolari. A lei Dino rivolse quell’amore che aveva fino ad allora nutrito solo per le figure femminili rappresentate nelle opere d’arte.
Meno di due anni dopo, la fine del loro rapporto coincise con la definitiva caduta del poeta nei vortici della rabbia e del turbamento . Venne, per la quarta volta nel corso della sua vita, rinchiuso in manicomio. Non ne uscì più.
Certamente tutte le stravaganze, le intemperanze, gli atti di lucida follia che oggi ci portano a sovrapporre il vissuto di Campana alla sua lirica, in quegli anni gli avrebbero permesso di emergere nella Parigi complice del decadentismo. Si trovò a vivere in un luogo sbagliato!
Va detto però che di recente, sulla figura di Dino Campana, affrancata dalle antiche accuse, soffia il vento della riscoperta e della riabilitazione.
Giorgia Lagosti