Gesti d’altri tempi e atteggiamenti di distinzione in sala che ormai è difficile trovare nei ristoranti di un certo livello. Grande passione per le antiche mansioni del mâitre sommelier.
In anni in cui la figura del cameriere (qualunque sia il grado nella scala gerarchica della brigata di sala) ha perso lustro … «stare in sala significa fare da elegante mediatore tra i piatti dello chef e le emozioni del cliente».
Bruno Renna è un autodidatta, la sua è una dote innata.
«Ho iniziato la professione da giovanissimo, al Bar Bologna di Lido di Savio. Poi all’Hotel San Giorgio di Forlì. Ma sono stati i 20 anni a “La Frasca” di Castrocaro, accanto a Gianfranco e Bruna Bolognesi, che mi hanno formato. E’ lì che sono diventato …»
Come si definisce?
«Io non sono nessuno, non ho studiato e la scelta di sposarmi presto non mi ha permesso di viaggiare, di fare esperienze, di confrontarmi con realtà diverse da quelle presso le quali ho lavorato. Ma forse la mia è una dote innata»
Eleganza, competenza, umiltà, razionalità, discrezione: sono queste le caratteristiche che fanno di Bruno un raffinato, ma non affettato, “maggiordomo” da case patrizie dei tempi andati.
Ma anche la psicologia gioca un ruolo fondamentale, vero?
«Verissimo. Bisogna saper capire quando è necessario essere discreti e poco invadenti o quando invece serve una parola di più. Si devono usare atteggiamenti diversi in base al tipo di cliente che ci si trova davanti. Le signore desiderano attenzioni maggiori. Soprattutto però ci deve essere competenza ed efficienza. Mi spiego: quando servo un piatto in tavola lo racconto brevemente, cerco di essere essenziale. Quel tanto che basta per far sì che i clienti possano cogliere i tratti salienti del messaggio dello chef. Se però vedo interesse, se ricevo domande … allora serve un racconto, serve una guida. Anche questo è il mio lavoro».
Lei, da sommelier da sempre iscritto all’Associazione, come si pone di fronte ai vini da proporre ai suoi clienti?
«Una volta era diverso: si proponeva un percorso che vedeva abbinato ad ogni piatto in degustazione un vino diverso. Oggi … dopo la descrizione del menù, chiedo se si desidera la carta. Poi mi allontano. C’è più consapevolezza e conoscenza. A volte anche un po’ più di arroganza. Esprimo una mia indicazione solo se mi viene chiesta».
E di solito che vini le risulta facile proporre? Italiani o esteri?
«Innanzitutto … confesso che io sono un amante dei rossi. Qui alla Terrazza c’è molta richiesta di bollicine, metodo classico (o champenuoise). Sono convinto che per queste preferenze, gli champagne francesi siano i migliori al mondo. Per altri, l’Italia certamente fa scuola.»
Da quest’anno anche alla Terrazza i clienti avranno la possibilità di scegliere un menù degustazione. Cosa ne pensa?
«Credo che sia molto importante che un locale dia la possibilità di mostrarsi attraverso un “racconto” del pensiero che sta alla base della filosofia di gestione. E’ questo un menù degustazione, un’immagine coerente che il ristorante dà di sè».
Bruno Renna è quindi cambiato negli anni, è riuscito a stare al passo con i tempi e ad adattare la sua arte dell’accoglienza a Terrazza Bartolini, al taglio che Andrea e Stefano hanno voluto dare al loro locale; Bruno si è “emancipato” verso un mondo più libero e accurato che spazia fra l’eleganza e l’affabilità nei confronti del commensale.
Bruno, un’ultima domanda.
Matteo Casadio, chef de cusine da pochi giorni del ristorante: ancora non vi conoscete bene, ma … cosa ne pensi di lui?
«E’ vero. Ci conosciamo ancora poco, ma mi sembra un ragazzo competente e con le idee molto chiare, sicuro di sé e determinato. Mi piace. Sono certo che lavoreremo bene insieme».
Concludo con una domanda che non ho posto a Bruno: il trucco?
Cultura di sala, psicologia, amore per il proprio lavoro e … una grande intuizione.
Questo è Bruno Renna.
Giorgia Lagosti