Siamo negli anni 80 e mentre la maggior parte delle località balneari della Riviera Romagnola si adopera per una ricerca sfrenata del divertimento, degli alti volumi, delle ore piccole, della trasgressione e … dello svago fine a sé stesso, Cesenatico promuove le sue origini, la sua storia e i suoi “tesori” culturali, restaura il Centro Storico e il Borgo dei Pescatori, fa coesistere lo sviluppo turistico con la salvaguardia e con la valorizzazione della propria identità.
La consapevolezza che il territorio non dovesse essere considerato esclusivamente come un contesto spaziale, ma come un fattore determinante nella “realizzazione” della conoscenza, era stata presente fin dai primi anni 50, fin da quando cominciò ad emergere, come testimoniano le cartoline del tempo, la coscienza del valore pittoresco delle Conserve e del Porto Canale Leonardesco, ma è dalla metà degli anni 70 che l’importanza della memoria diventa linea guida per le scelte a venire.
A quel tempo era già tramontata l’epoca in cui la convivenza del marinaio con il mare era segnata da un vivo e radicato sentimento di amore ed odio: il “giro di boa” coincise con l’adozione da parte dei natanti del motore a scoppio, databile verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando, come ricorda il poeta pescatore Carlo Nava … “gli ultimi pescherecci a vela che si incrociavano al largo della costa rischiavano di “incocciare” con le loro reti nelle mine lasciate in eredità dal conflitto”.
Prima di questa “rivoluzione” la maggior parte dei navigatori e dei pescatori era analfabeta e non sapeva padroneggiare gli strumenti nautici sofisticati e complessi che oggi la scienza e la tecnologia hanno fornito agli uomini del mare.
La capacità di far proprie le tecniche di navigazione e riuscire a destreggiarsi nel “mestiere” derivava dall’esperienza acquisita sul campo, con un apprendistato che iniziava molto presto, da bambini, come mozzi, osservando e ascoltando gli anziani dell’equipaggio che, tenacemente aggrappati al ponte, durante le burrasche, intuivano sapienti manovre e cantavano antiche nenie propiziatorie.
Accanto alla civiltà marinara vi erano poi professioni come quelle dei calafatai (esperti dell’impermeabilizzazione degli scafi), dei velai e dei maestri d’ascia che sceglievano i legni con la cura di un liutaio e conoscevano i segreti dell’ossatura degli scafi.
Le vele, per esempio. La loro forma era sì decisiva nel determinare il tipo di andatura, ma, oltre ad assicurare la propulsione, alle vele veniva affidata una funzione comunicativa: sia la colorazione, per la quale le tinte più usate erano il giallo e il rosso in varie gradazioni, che le decorazioni avevano infatti il compito di rendere riconoscibili le barche a distanza.
Le vele sfoggiavano un vasto campionario di emblemi ispirati ad una sorta di araldica familiare, a soggetti religiosi, patriottici e politici o, in certi frangenti, legati ad un’attività economica specifica, come nel caso dei cacciatori di delfini di Cesenatico che riportavano l’effige del cetaceo sulle loro imbarcazioni.
Tutti particolari, questi, faticosamente sopravvissuti al passaggio delle epoche e testimoni della credenza comune che la barca fosse … un oggetto “vivo”: l’ornamento di prua dei trabàccoli (tipiche imbarcazioni di queste acque), vale a dire due occhi apotropaici scolpiti in legno, doveva fornire all’anima dell’imbarcazione gli strumenti per scorgere i pericoli del mare e … quando il battello avanzava sulle onde corte dell’Adriatico, il riverbero della luce e il gioco delle ombre davano l’impressione che cambiassero sguardo a seconda delle condizioni climatiche.
Poi, ancora, il pulsare cadenzato delle vele al vento completava l’idea del natante quale entità vivente.
Le ultime vele ad essere issate sugli alberi delle barche storiche del Mare Nostrum furono quelle dette “al terzo” (trapezoidali) che, a partire dal XVIII secolo sostituirono le antiche e meno efficienti vele “latine” (triangolari).
Il più importante tributo all’etica ed all’estetica della tradizione marinara romagnola è certamente il Museo della Marineria, sorto a Cesenatico nel 1983 e frutto di un importante progetto del Dottor Bruno Ballerin: succeduto a Primo Grassi nella Presidenza dell’Azienda di Soggiorno, innamorato della sua città e a lei fortemente legato, in prima persona studioso e ricercatore, fin dall’inizio del suo mandato avvia una serie di approfondimenti e di ricerche sui patrimoni del mondo della marineria.
Con la preziosa collaborazione dell’Amministrazione Comunale e con l’avvallo (a volte ottenuto dopo stremanti battaglie burocratiche) degli organismi di tutela, ottiene l’apertura di scavi archeologici a seguito dei quali vengono scoperti nuovi elementi della storia del territorio: fin da subito si costituisce il piccolo Antiquarium visitabile da cittadini e turisti.
Questo fu un percorso che aveva bisogno di tempo ma, anche grazie ad un convegno tenutosi nel 1977 e organizzato proprio dall’Azienda di Soggiorno, sulla “Marineria Romagnola: l’Uomo e l’Ambiente”, l’opera di ricognizione, di tutela e di valorizzazione degli elementi che caratterizzano l’identità marinaresca si rafforza e diventa parte integrante dell’immagine e della promozione turistica della cittadina: tutto il lavoro vede la luce proprio nel Museo della Marineria.
Nella Sezione a Terra oggi sono contenuti gli antichi strumenti dei marinai, vari sussidi didattici e due imbarcazioni restaurate e perfettamente attrezzate, osservabili in ogni dettaglio dalle plancette sospese.
La Sezione Galleggiante, invece, ci restituisce il sorprendente colpo d’occhio di un antico porto romagnolo: ancorati uno al fianco dell’altro e ostentando le loro vele variopinte, beccheggiano i “legni” che per secoli hanno solcato questo mare.
Vediamo i bragozzi (solide imbarcazioni dal fondo piatto e dotate di due alberi, di origine veneziana, votate alla pesca), i trabàccoli (piccole navi dell’Adriatico dette anche “barchetti”), il topo (da cui i pescatori trascinavano i parangali, con le loro infinite teorie di ami), le paranze (con la prora a petto d’anatra e con le quali si praticava la pesca a strascico e che, dalla descrizione che ne riportò Grazia Deledda, … “tornavano a due a due, come coppie di sposi dopo una felice passeggiata…”), le veloci lance e la piccola battana (così chiamata per il fragore con cui batteva sull’acqua cadendo nel cavo dell’onda in caso di maretta).
Tutto fa parte di un progetto che Cesenatico ha perseguito negli anni e che tuttora persegue con grande coerenza … fino alla realizzazione.
Assieme alla “sua gente”, ancora oggi, lavora con lo sguardo fisso alla salvaguardia del suo patrimonio: lingua, letteratura scritta e orale, principi e valori spirituali, tradizioni e opere del passato.
Lavora con la certezza che solo questo “bagaglio” può legare un popolo, può dare un senso alla vita quotidiana, può fare da ponte fra una generazione e la successiva e … dare la forza per affrontare il futuro.
Giorgia Lagosti