Tinin Mantegazza e il “suo” Presepe

In Inverno, quando l’alveare di ombrelloni è al riparo nelle rimesse dei bagnini, la spiaggia di Cesenatico si mostra vasta…

In Inverno, quando l’alveare di ombrelloni è al riparo nelle rimesse dei bagnini, la spiaggia di Cesenatico si mostra vasta e selvaggia allo sguardo, cerulea, affascinante, ma fredda e distaccata; all’Osteria del Gran Fritto e nei locali del Ristorante La Buca … si respira però aria molto diversa.

Prima di entrare … Cesenatico … le barche del Museo “Galleggiante” … il Presepe della Marineria.

Non si può non soffermarsi a guardare, ammirare, cercare quel qualcosa di nuovo che ogni anno compare su quelle storiche imbarcazioni.

Dal 1986, nel periodo natalizio, per l’esattezza dalla prima domenica di Dicembre e fino al giorno della Befana, le barche della sezione galleggiante del Museo fanno da scenario ad un Presepe che ormai è diventato simbolo “stagionale” di Cesenatico.

 

Era il 1985 quando il vicepresidente dei Bagnini, Oscar Ciaccafave, chiese a Tinin Mantegazza di fare da regia ad un presepe vivente, ma … mesi di lavoro e prove per un solo giorno? E quante persone avrebbero potuto godere di quella rappresentazione?
Lui allora rilanciò: creiamo un Presepe … in pianta stabile e … fatto d’arte! Pensiamo ad un “esercito cinese” che cresca ogni anno, che si arricchisca di personaggi, di scenari e di … messaggi.

 

Insieme a Maurizio Bertoni (scultore dei volti, delle mani e dei piedi di tutte le statue tranne quella del burattinaio che è opera di Mantegazza stesso) e a Mino Savadori (creatore delle strutture dei portanti dei personaggi, nonché della tecnica per realizzare gli indumenti), Tinin ha pensato ad un allestimento che rappresentasse l’animo degli abitanti, la loro essenza più profonda, la cultura radicata e indelebile delle genti di mare.

 

Ecco allora che gli scenari diventano istantanee della vita del borgo di pescatori, immagini che raccontano la quotidianità di Cesenatico: la pescivendola che vende i doni del suo mare, la “piadinara” che prepara il “pane” azzimo dei Romagnoli, i pescatori intenti a rammendare le reti o a mollare gli ormeggi, poi il falegname, l’oste, i musicisti, i bambini e i burattinai.
E il palcoscenico? Le barche storiche del Canale Leonardesco.

 

Si iniziò dalla Sacra Famiglia e dai Re Magi, poi, negli anni la schiera delle genti protagoniste di questo “quadro” si è arricchita di molti altri soggetti; quasi ad indicare la rotta, anche un gruppo di delfini che emergono dal pelo dell’acqua.
Le statue, le cui parti scoperte sono in legno di cirmolo, tutte a grandezza naturale, vestite da abiti di tela grezza irrigidita da cera pennellata a caldo (Mantegazza mi racconta che per mantenerla malleabile durante la realizzazione dei drappeggi, viene scaldata dal getto di aria calda di un asciugacapelli) sono sorrette da una struttura di rete metallica e da un’anima lignea.

 

Suggestivo è il risultato, soprattutto dopo il tramonto, quando … si alza il sipario e i riflessi sull’acqua delle “lucine” che illuminano le barche rendono l’insieme … quasi vivo, in movimento e dotato di un’anima: attori che recitano ognuno la sua parte.

 

Fino all’anno scorso, per ogni Natale, il Presepe si è arricchito di una nuova statua e quindi di un nuovo personaggio di quella vita marinara che sulle barche ha trovato il suo sostentamento e ha affondato le radici della sua storia: ogni anno si è aggiunto un timoniere o un prodiere … a completare il quadro che è possibile ammirare dalla banchina del Porto Canale come dalla galleria di un teatro.

Quest’anno invece, per riavere la Piadinara (Piadarola come mi dice Tinin) si è dovuto rinunciare alla nuova statua e procedere ad una ricostruzione: un petardo “assassino”, l’anno scorso, aveva letteralmente bruciato la nostra cara “azdòra” intenta nella cottura sul testo.

 

Presto il Presepe sarà completato, saranno “occupati” tutti gli spazi disponibili sulle barche, ma di lavoro ce ne sarà ancora, e tanto! Sono infatti necessari continui lavori di restauro e di ricostruzione di queste sculture che, come tali meriterebbero anche un dignitoso ricovero durante tutto il resto dell’anno: non stanze chiuse (le cui strette porte possano lasciare profonde ferite: è successo!), bensì un luogo dove si possano ammirare … anche se non è Natale. E’ tanto che Tinin chiede per le sue creazioni il diritto di in un luogo consono: pare che da quest’anno, scese a terra, andranno a trovare riparo nei locali dell’ex Lavatoio cittadino.

 

Adesso è il momento di entrare nel Ristorante, a cercare un po’ di caldo e … Stefano mi racconta che proprio da quelle banchine, quando era ancora piccolo e il presepe non c’era, si poteva assistere ad un altro “spettacolo”: in dicembre, venivano gettate in acqua delle fascine di tralci di vite (certamente il prodotto delle potature invernali) tenuti stretti con delle corde. Questi si posavano sul fondo del canale, salmastro e melmoso, habitat ideale per gli “abitanti” di un ambiente limite fra terra e mare.

Il Porto Canale Leonardesco

 

Si aspettava, in silenzio, con pazienza e … quando l’intuizione del pescatore decideva che era il memento, con grande fatica, venivano velocemente issati sulla banchina.

E quei rami, che prima erano stati tana e rifugio per piccoli Gamberetti e giovani Anguille (i buratèl), divenivano le trappole per portare in superficie i doni del mare: erano questi i “pesci” delle tavole dei giorni di festa, quelli che oggi troviamo nel cartoccio di carta gialla della Buca e delle Osterie, fritti con arte per non “sciupare” il profumo del mare, il croccante del carapace che si contrappone al morbido delle carni, per non rovinare il “sapore” dei ricordi.

 

Se poi le Anguille erano sufficientemente grosse per essere “spaccate”, sarebbero finite in graticola, a cuocere lentamente perché si sciogliessero i grassi di cui le loro carni sono ricchissime, perché i suoi fumi evocassero la ricchezza e il calore del Natale.
Anche questo ritroviamo sulle tavole dei giorni di festa, anche questo … è Natale.

 

Giorgia Lagosti