La Romagna è per tradizione una terra in cui la cultura per il cibo sta alla base della vita quotidiana. Causa e conseguenza di tutto ciò è certamente il gran numero e l’alta qualità dei suoi prodotti tipici. Uno fra tanti, e di grande valore, è l’olio di Brisighella.
Siamo sulle colline del faentino, a pochi chilometri da una delle capitali europee della ceramica d’autore.
Muovendo dalla città e costeggiando la vecchia ferrovia che anticamente aprì le porte sul mondo per le genti di questa zona, arriviamo appunto a Brisighella.
Concedetemi ora un piccola digressione sull’origine di questo affascinante borgo.
Le fonti storiche fanno risalire la sua fondazione al 1178 per mano dei conti Belmonti delle Caminate, ma fu Maghinardo Pagani da Susinana che nel 1290, per meglio assediare il Castello di Baccagnano, fece costruire, su uno dei tre scogli di selenite che dominano la conca, una torre divenuta in breve la roccaforte più importante dell’intera vallata.
Castrum Brisichellae, infatti, in virtù della sua ubicazione a cavallo tra Romagna e Toscana e per il suo essere cinta da inaccessibili creste gessose, si distinse subito per la sua importanza strategica e commerciale.
Scomparso Maghinardo, il nido fortificato passò alle dipendenze di Francesco Manfredi signore di Faenza il quale, secondo la tradizione del suo casato, lo trasformò in rocca secondo i più moderni dettami dell’epoca. Continue migliorie e nuovi bastioni si susseguirono negli anni finché Galeazzo Manfredi eresse un nuovo e più possente fortilizio sul contrafforte retrostante. Poi, con la fine dei Manfredi (1500), il castello passò ai Veneziani che gli diedero la sua veste definitiva.
Poco distante, appollaiato sul terzo pinnacolo prospiciente il centro abitato e un tempo noto come “Cozzolo” o “Calvario”, c’è il Santuario mariano del Monticino che offre panorami mozzafiato della valle sino ai confini della Toscana.
Della cerchia, sul tragitto che giungeva al maniero, restano solo due torrioni. Oltre, percorrendo un camminamento sopraelevato, si raggiungeva il centro abitato, più in basso: questa era la Via del Borgo. Col tempo diventò centro di famiglie di birocciai che traevano il loro sostentamento dalle vicine cave di gesso: era appellata “degli Asini” per il ricovero offerto alle bestie da soma.
Oggi, questo singolare e storico transito, riportato ad antico splendore e bagnato dalla luce filtrata da mezzi archi di dissimile ampiezza, regala uno degli scorci più suggestivi e scenografici dell’abitato.
Fra tutte le costruzioni sacre, ancora, spicca la Pieve di Thò, così appellata poiché situata all’ottavo miglio della strada che univa Faenza all’Etruria: è una delle più remote opere romaniche di questa terra. Si tratta di un luogo dall’atmosfera rarefatta, quasi una “macchina del tempo”, capace d’ispirare forti emozioni, ricordi dimenticati.
E sensazioni analoghe, a digressione finita, si possono provare all’assaggio di uno di quei prodotti di cui ho accennato e che fra queste vallate nasce: l’Olio Extravergine di Brisighella.
In Romagna infatti è certamente uno dei prodotti più nobili e pregiati e ne esiste anche un crù “Brisighello” che vanta la Denominazione di Origine Protetta: deriva da oliveti selezionati sia sotto l’aspetto produttivo che fitopatologico e tutti ubicati in un areale rigorosamente delimitato sulle colline del comprensorio in questione.
L’alto profilo qualitativo, oltre che per una questione di territorialità, è poi determinato dall’attenta e accurata tecnica di preparazione del prodotto: la raccolta, fra la fine di Ottobre e la prima quindicina di Novembre a seconda della stagione, viene eseguita esclusivamente a mano (il territorio non permetterebbe altra via) per brucatura e la molitura delle olive deve avvenire obbligatoriamente entro 4 giorni dalla raccolta.
L’estrazione infine, parte fondamentale del processo produttivo, si realizza per sgocciolamento.
Arrivando infine alle caratteristiche organolettiche che fanno dell’olio di Brisighella un prodotto inimitabile ed esclusivo, non posso non raccontare dell’aroma intenso e delicato, lievemente mandorlato, con note che ricordano il carciofino verde e le foglie del pomodoro. Fluido al palato, i suoi sentori dolci, amari e piccanti sono presenti in misura equilibrata ed armonica.
Giorgia Lagosti