Anche la più rustica delle “hostarie” in terra romagnola, oggi ha un volto molto diverso da quello delle sue antenate, luoghi in cui generazioni di contadini, marinai, bottegai o sensali hanno scavato negli anni le impronte dei loro bicchieri sui tavolacci di legno.
Non è facile stabilire una data di nascita delle osterie, ma nel 1800 erano già numerose: spuntavano ai bordi dei crocevia più trafficati, nei luoghi dove i postiglioni davano il cambio ai cavalli o sugli sterrati secondari percorsi dai birrocciai.
Tranne rare eccezioni si assomigliavano tutte: una frasca inchiodata al battente al posto dell’insegna, una lavagna (nei casi più fortunati! spesso c’era solo un’asse incisa) recante il costo delle poche proposte affissa al robusto portone munito di spranghe, un piccola entrata e una seconda porticina detta “la bussola”.
Spesso le osterie erano collocate sotto il livello stradale: in fondo alla scaletta che scendeva dietro la bussola apparivano come antri semibui e maleodoranti, opachi dal fumo e dalla fuliggine, risonanti di un vociare indistinto.
Allora … cosa spingeva, oltre naturalmente al vino, gli avventori a dilapidarvi i pochi risparmi o ancor più spesso, a contrarvi debiti continui?
Il fatto è che le osterie erano il luogo dello scambio, uno scambio non necessariamente economico: ci si potevano trasmettere aneddoti, esperienze, idee o magari bestemmie. Erano il luogo in cui si conservava la saggezza o l’ignoranza popolare.
Vi accadevano o si narrava di eventi inspiegabili, misteriosi, come quello accaduto all’Osteria “De Gèval” a Savignano, così chiamata perché durante un furioso temporale uno sconosciuto dal volto seminascosto (successivamente identificato come il diavolo), entrato all’improvviso, avrebbe chiesto al becchino del paese di restituirgli il corpo del morto seppellito in giornata di cui aveva smarrito l’anima.
Durante i periodi di maggiore instabilità politica, poi, le osterie diventavano il luogo in cui si organizzavano congiure e rivoluzioni come testimoniano i nomi di alcune di queste. Uno su tutti quello della vecchia osteria di Rimini: “Cantena dla Forza e Curag”.
Ancora, potevano diventare roccaforti delle tradizioni popolari: è il caso di una ancora esistente osteria di Faenza dove la notte di San Silvestro del 1844 alcuni giovani squattrinati idearono “E Luneri di Smembar”. Da allora continua ancora oggi a scandire i giorni e gli anni dei romagnoli.
Ma più di tutto, le osterie, quelle seminascoste frequentate da fuggiaschi e contrabbandieri come quelle celebrate per le proprie cantine sono state per quasi duecento anni il posto dove ci si poteva dimenticare di quel che non si poteva avere, dove una risata allontanava la miseria, dove una regione frammentata e vessata si riuniva sotto il segno del suo Sangiovese.
Giorgia Lagosti