Nella puntata precedente abbiamo affrontato i temi della scelta del pesce, della lavorazione iniziale delle sue carni, dell’abbattimento e della sicurezza che ne deriva.
Oggi, invece, vorrei affrontare … l’antica arte della marinatura.
Gregorio, cosa ci racconti a riguardo?
«Innanzitutto va precisato che nella cucina tradizionale, quella che poi prevede la cottura del pesce, la marinatura serve a mantenere le carni, a intenerirne le fibre e a combattere la disidratazione dovuta a temperature elevate, dando al tempo stesso anche gusto e sapore alla preparazione.
Di solito, con animali interi, qui alla Buca noi usiamo il latte. Riempiamo il ventre ben pulito del pesce con della carta inzuppata di latte e lo mettiamo a riposare in frigorifero. In questo modo si chiudono i pori della carne e abbiamo la garanzia di una buona conservazione.
Se invece dobbiamo trattare dei filetti o dei tranci, preferiamo l’acqua gassata. L’effetto è il medesimo: in fase di cottura le carni non perderanno i loro succhi e si preserveranno gusto e tenerezza.
Ancora, si può utilizzare il sale, quello fine però. Il grosso non aderisce bene alla superficie da trattare, lascia degli spazi “scoperti”. Tutto ciò potrebbe compromettere il risultato cercato».
E per il crudo invece?
«Nel crudo la marinatura serve in primis per compattare le carni, poi dona loro una sottile nota fresca che toglie quella tipica sensazione leggermente allappante e grassa che spesso ritroviamo nel pesce prima della cottura.
Ma anche qui abbiamo diverse possibilità. Partiamo dalla marinatura a secco: io uso sale, erbe aromatiche e zucchero di canna. Lascio il pesce a marinare per il tempo necessario affinchè venga assorbito il giusto degli odori e del sale. Poi lo lavo, lo asciugo e lo ripongo in frigorifero. Dopo questo trattamento, inoltre, si mantiene certamente più a lungo.
Poi abbiamo la marinatura per immersione, solitamente in acqua e sale: è perfetta per preparare il pesce azzurro che poi deve essere affumicato.
Sempre per immersione, abbiamo anche quella con aceto e sale: è adatta a pesci sfilettati e, nella tradizione marinara, la ritroviamo per sarde e sardoncini. Importante però è non dimenticare di sciacquarli bene sotto l’acqua corrente: l’aceto continuerebbe a “cucinare” le carni e le rovinerebbe.
Infine ci sono le marinature calde, il carpione tanto per intenderci, ma … parlando di questo ci allontaniamo dal pesce crudo».
Perchè?
«Perchè solitamente il pesce da sottoporre a questa particolare marinatura prima va fritto, poi ricoperto con una soluzione ottenuta unendo aceto, salvia, scorze di arancia e di limone, cipolla rossa di Tropea, foglie di alloro e aglio. Si fa bollire il tutto 10 minuti, si lascia intiepidire fino a circa 50 gradi. Nelle tradizioni di altre regioni, soprattutto con i pesci di lago, il carpione viene usato anche dopo la cottura sulla griglia. E … prima di consumarlo è necessario far riposare il tutto per almeno 3 o 4 giorni. Poi … si mantiene anche per settimane!»
E la prossima volta, Gregorio, cosa ci racconti?
«Direi che è arrivato il momento di “dare carattere” al crudo: parlo di quelle “correzioni” che, accostandosi al profumo e al sapore del mare, li sposano e li esaltano. Vi racconterò dei giusti abbinamenti.»
Grazie Gregorio.
Giorgia Lagosti